Nel comune di Angri, ai confini con Sant’Antonio Abate, sorge la Certosa di San Giacomo di Pizzauto nella strada che oggi si chiama Via Pozzo dei Goti e che corrisponde, quasi in toto, all’antica strada Nuceria-Stabiae che fu seppellita dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e ripristinata dall’imperatore Adriano nel 121 d.C., come testimoniato da un’iscrizione ritrovata su un miliare scoperto ad Angri nel 1950, e che oggi si chiama via Pozzo dei Goti, in riferimento allo scontro finale tra Goti e Bizantini avvenuto nel 553 d.C. sui Monti Lattari.
La Certosa, di proprietà del comune di Angri solo per il 30%, è un’antica struttura, che attualmente versa in stato di abbandono e di degrado, costruita a fine ‘300 da Giacomo Arcuccio, signore di Capri e gran camerario del Regno Angioino. La Certosa era all’interno di un vastissimo feudo di proprietà di Arcuccio denominato “Feudo di Cancelleria e Paludicella” in seguito donato ai monaci certosini di Capri per i quali, secondo quanto si tramanda, Arcuccio nel 1371, per ringraziamento della nascita del figlio, fece costruire la Certosa di San Giacomo a Capri.
Il feudo includeva parte degli attuali comuni di Angri, Sant’Antonio Abate e Santa Maria La Carità, che a quei tempi corrispondevano alla parte nord-est dell’Ager Stabianus. I monaci certosini convertirono questo territorio in una grangia, ovvero in una grande azienda produttiva, per lo sfruttamento dei terreni. Sin dai primi anni della Certosa di Pizzauto ci furono dei contrasti, che durarono fino al XIX secolo, per la parte del feudo denominata Marina-Margina, perché esso non compariva nel “Privilegio” di re Roberto. Nel periodo napoleonico fu promulgata una legge che aboliva alcune istituzioni cattoliche, tra cui, l’ordine dei certosini. Così avvenne lo smembramento delle proprietà dei certosini ai privati. Attaccata a questa struttura è il fortilizio-masseria in località Monte de’ Monaci, che, fino a quel momento fu un convalescenziario dove i monaci si curavano e si rifugiavano dalla calura estiva.
La Certosa di San Giacomo di Angri fu venduta prima al cavaliere Andrea Dini che la utilizzò come magazzino, poi fu venduta ai principi di Cerenzia Giannuzzi Savelli i quali dopo averla lottizzata, la cedettero ai contadini del posto. Con il sisma degli anni’80, la sovrintendenza ai beni culturali di Salerno decise di porre il vincolo storico sulla Certosa, ma nulla è stato fatto da allora. Oggi la Certosa versa in condizioni di abbandono e tante sono le associazioni che si stanno impegnando per chiederne il restauro.
La struttura si presenta in una veste settecentesca con deturpazioni dovute alle guerre, all’incuria, al terremoto del 1980, all’assalto dei cercatori di cimeli artistici che hanno ultimamente smontato una scala di pietra di piperno posta all’esterno del fabbricato.
La grangia con le sue sale arricchite di fregi architettonici, con le sue scale, con la sua chiesa dotata di affreschi è un’opera che dovrebbe rientrare a far parte del già ricco patrimonio artistico di Angri. L’amministrazione comunale Mauri stanziò fondi per consentire la promozione di progetti e studi per il recupero dell’immobile.
Fonti:
G. Sorrentino – E. C. Marino, La Certosa di San Giacomo di Pizzauto e il Feudo di Cancelleria, rapporti con Gragnano – Lettere – Angri – Scafati, Materdomini 1990.